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“Non avrà titolo”. Mimmo Paladino in mostra sul Lago Maggiore

“Non avrà titolo”. Mimmo Paladino in mostra sul Lago Maggiore

Ventidue opere per il fare il punto sulla Transavanguardia vista da uno dei suoi maggiori esponenti. È questo il senso della mostra “Non avrà titolo” di Mimmo Paladino (Paduli, 1948), curata da Lorenzo Madaro a Palazzo Parasi di Cannobio. Una graziosa località di affaccio sul Lago Maggiore, al confine con la Svizzera. L’iter espositivo, fruibile fino all’8 ottobre 2023, si sviluppa su due piani e permette al fruitore di osservare l’excursus dell’artista dal 2010 al 2023. Opere di medio e grande formato dalle quali emergono tutti gli ingredienti che hanno fatto dell’Arte Cifra il movimento neoespressionista più internazionale e di maggior successo degli ultimi anni del nostro secolo breve.

Le tele di Paladino, spesso imbevute di cromie accese, blu, gialli, rossi, suggeriscono anzitutto una ricerca libera e individuale, priva di direttrici predeterminate, dove il primato va alla soggettività dell’artista. Con le riflessioni di Lyotard sulla fine delle grandi narrazioni e di Deleuze e Guattari sul rizomatismo della conoscenza, scaturiva nei transavanguardisti una presa di coscienza della perdita dei punti di riferimento che avevano caratterizzato la modernità. E, tuttavia, Paladino ci dice che questo cambiamento non è stato e non è affatto un presagio di sventura, di sconnessione disorientante. Ma un invito ad un nomadismo intellettuale, inteso come libertà di ripercorrere a piacimento l’intera storia dell’arte.

Mimmo Paladino, Arancio, 2022, tecnica mista su tela, 80x60 cm, Courtesy Galleria Mazzoli, Modena
Mimmo Paladino, Arancio, 2022, tecnica mista su tela, 80×60 cm, Courtesy Galleria Mazzoli, Modena

Ibridazione dei linguaggi

Ogni opera paladiniana è infatti un unicum ricco di elementi eterogenei. Non è un caso che nei sette busti totemici dipinti quest’anno si possano riconoscere senza soluzione di continuità influenze medievali, africane, orientali. Attraversate tutte da un fil rouge di spiritualità. All’ibridazione dei linguaggi, al citazionismo senza regole, all’eclettismo, al remake e al pastiche, alla mescolanza tra high e low fa da contraltare un rigore che negli anni Settanta fu ciò che smorzò l’ottimismo delle avanguardie. Un rigore che anzitutto è quello di un deciso ritorno al medium pittorico e al figurativismo. La Transavanguardia “stigmatizza il feticismo del nuovo attraverso opere che scandalizzano per la mancanza di novità”, scrisse Achille Bonito Oliva in quel suo saggio del ’79 dal quale il movimento nacque.

Tra le materiche condensazioni di Paladino e le sue tecniche miste s’intravede questo ritorno alla pittura contraria al totale astrattismo, una sferzata inferta all’Arte Povera e al Concettuale e un ammiccamento all’algidità metafisica. Paladino rivela questo guizzo ctonio anzitutto ne “La Cometa” del 2013. Dipinto nel quale un uomo meditativo e senza volto, osserva un paesaggio trascendentale. Con casolari fatti di poche linee e un cielo plumbeo con un solo bagliore di speranza a margine. Da questo riconsiderare la pittura figurativa, che schiva la storia e guarda avanti senza volontà di compiacimento, tra lo sperimentalismo e il rigore, si comprende allora da dove nasce oggi quel desiderio di ritorno al pittorico che caratterizza differenti frange di artisti italiani.

Mimmo Paladino, Non avrà titolo, Installation view
Mimmo Paladino, Non avrà titolo, Installation view

Un tempo dilatato

La Transavanguardia di Paladino, intimista, non pretenziosa, è il movimento che fa da apripista alla nostra pittura figurativa postmoderna. Come si poteva già evincere quest’anno dalla mostra d’apertura della nuova sede della galleria Monitor di Roma, “Paura della pittura”. I cui curatori, Gianni e Giuseppe Garrera sottolineavano la volontà di un affondo nella pittura e di un distacco dal passato. Con un piglio che sembra rifarsi alle parole di Stefano Chiodi in quel suo saggio “Nostalgia di niente”, pubblicato nel catalogo di Bonito Oliva “La Transavanguardia italiana”.

Ovviamente il sogno impossibile è quello di lasciare indifferenti gli animi sensibili (la reattività e la creatività sono prerogative borghesi)” commentavano i fratelli Garrera. Un sogno che sembra invece realizzarsi in un’altra opera di Paladino, benché scultorea. Un nero cavallo monumentale senza titolo, posto al di fuori di Palazzo Parrasi, sul lungolago. Che nella sua scarna imperscrutabilità, appare icona di un tempo dilatato, di cui lo spettatore, “cavaliere assente”, resta impassibile, nomade scrutatore.

Mimmo Paladino, Senza titolo, 2022, vetroresina, ferro e acciaio, 100x370x435 cm, Collezione dell’artista, Paduli
Mimmo Paladino, Senza titolo, 2022, vetroresina, ferro e acciaio, 100x370x435 cm, Collezione dell’artista, Paduli