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Klimt e l’arte italiana

Klimt e l’arte italiana

 

Da un’idea di Vittorio Sgarbi:  KLIMT E L’ARTE ITALIANA a cura di Beatrice Avanzi

Mart Rovereto 16 marzo — 18 giugno 2023

 

Al Mart eccezionalmente riuniti i due capolavori “italiani” di Klimt: Giuditta II e Le tre età della donna.

Appartenenti a due tra le maggiori collezioni pubbliche, testimoniano il passaggio e l’eredità spirituale del maestro viennese in Italia. Attorno a questo irripetibile binomio si sviluppa la prima mostra sull’influenza di Klimt sui grandi maestri del primo novecento, come Felice Casorati, Adolfo Wildt, Vittorio Zecchin, Luigi Bonazza.

 

La storia

All’apice della sua carriera, l’austriaco Gustav Klimt (1862-1918), padre della Secessione viennese, partecipò alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, organizzata in occasione del cinquantenario dell’unità d’Italia.

A seguito di queste rassegne internazionali e a conferma del successo di Klimt nel Belpaese, due capolavori assoluti vennero acquistati da importanti collezioni pubbliche: il Comune di Venezia destinò la Giuditta II alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro; Le tre età della donna andarono invece ad arricchire il patrimonio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, grazie a un’acquisizione del Ministero dell’Istruzione. Diversi anni dopo, nel 1925, un Ritratto di Signora fu acquistato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza ed è tutt’ora nelle loro disponibilità.

Il personalissimo e innovativo stile di Klimt influenzò un’intera generazione di artisti che, tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, finirono per rinnovare profondamente il proprio linguaggio. Si tratta di grandi nomi attivi principalmente a Venezia, Trieste, Trento e Verona, nelle zone di influenza diretta o prossima della cultura austriaca e mitteleuropea.

Al Mart

 Provenienti da raccolte museali tra le più note d’Italia Giuditta II e Le Tre età della donna sono oggi riconosciute come icone dell’influenza di Klimt, in particolare nelle geografie culturali del nord est.

Come descrive la curatrice Beatrice Avanzi nel saggio che accompagna la mostra: le opere di Klimt «sono preziosi “mosaici dipinti”, risplendenti nella ricchezza di sfondi dove frammenti d’oro, volute, motivi vegetali, elementi decorativi simili a murrine o pietre preziose convivono con figure di crudo naturalismo, ormai prossimo all’espressionismo, senza contraddizioni perché vive in un tempo eterno». […] La Giuditta II è «immagine di scandalosa bellezza, fulgida incarnazione di seduzione e morte» mentre le Le tre età della donna, tra i più celebri capolavori del periodo aureo, «è la rappresentazione, allo stesso tempo impietosa e profondamente poetica, del ciclo della vita, nel suo scorrere dalla grazia della maternità al decadimento della vecchiaia, su uno sfondo, potentemente evocativo, di particelle realizzate in foglia di platino».

Eccezionalmente insieme a Rovereto, i due capolavori costituiscono il perno attorno al quale ruota Klimt e l’arte italiana, dal 15 marzo al 18 giugno 2023.

Il progetto analizza, per la prima volta in modo esaustivo, l’attività di pittori e scultori italiani il cui lavoro fu ispirato da quello di Gustav Klimt e dalla Secessione. Quasi magico e circoscritto nel tempo, questo momento della storia dell’arte si discosta dalle grandi e più note correnti, come le Avanguardie, e precede il Ritorno all’Ordine e le tendenze post belliche.

Attraverso circa 200 opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, il Mart illustra un panorama vario e complesso, nel quale discipline diverse – dalla pittura alle arti decorative – convivono sotto il segno di un riconoscibile gusto sontuoso, seduttivo e decadente.

La mostra presenta circa 40 artisti tra cui i pittori attivi a Venezia, come Vittorio Zecchin il cosiddetto “Klimt italiano”; o i giovani “dissidenti” di Ca’ Pesaro, come Felice Casorati; senza dimenticare quelli coinvolti nelle grandi imprese decorative della Biennale, è il caso per esempio di Galileo Chini. Non possono mancare coloro che per prossimità geografica e culturale furono particolarmente vicini al clima delle Secessioni, come il triestino Vito Timmel o i trentini Luigi Bonazza, Luigi Ratini e Benvenuto Disertori. Le atmosfere austriache e germaniche ispirano inevitabilmente anche l’opera dello scultore Adolfo Wildt, definito dai critici “il Klimt della scultura”.

Seppur con lo sguardo volto al linguaggio nordico, alle Secessioni di Vienna e di Monaco, gli italiani rielaborano l’influsso klimtiano in modo autonomo e originale: i riferimenti sono visibili nei decori, nelle linee, nei colori e nello stile che finisce per mescolarsi alle caratteristiche artistiche locali, permettendo la nascita di nuove ricerche.

D’altronde lo stesso Klimt, in quello che la curatrice della mostra illustra in catalogo come un “folgorante cortocircuito”, fu a sua volta erede della tradizione italiana. È infatti acclarato che alcune delle sue opere più note siano state realizzate a seguito dei frequenti viaggi in Italia durante i quali visitò la Basilica di San Marco e i mosaici di Ravenna, che ispirarono gli ori, i decori, la bidimensionalità.

Se Klimt “rende attuali e trasforma in una sintassi rivoluzionaria le impressioni indelebili derivate dalla tradizione artistica del nostro paese”, gli artisti che influenza “con un potere di seduzione senza pari” contribuiscono al delinearsi di una parentesi unica e preziosa su cui finalmente si inizia a far luce.

Il percorso di mostra. Testi a parete

La mostra si sviluppa intorno a due capolavori di Gustav Klimt (1862-1918), padre della Secessione viennese, entrati a far parte delle collezioni pubbliche italiane in occasione della Biennale di Venezia del 1910 e dell’Esposizione internazionale del 1911 a Roma. Giuditta II e Le tre età della donna, qui eccezionalmente riunite, testimoniano il passaggio e l’eredità culturale di Klimt nel nostro paese. Esse sono affiancate dalle opere dei numerosi artisti che ne furono profondamente influenzati.

La fascinazione della pittura del maestro viennese, con particolare riguardo a quella del cosiddetto “periodo aureo”, si può rintracciare nel lavoro di artisti attivi a Venezia come Vittorio Zecchin, i giovani pittori di Ca’ Pesaro e Galileo Chini, con le sue decorazioni per la Biennale. Per prossimità geografica, guardano all’arte delle Secessioni mitteleuropee i trentini Luigi Bonazza, Benvenuto Disertori e Luigi Ratini, nonché i triestini Vito Timmel e Piero e Guido Marussig. Tra gli scultori, spicca Adolfo Wildt, definito “il Klimt della scultura” per le affinità stilistiche tra le sue opere, illuminate da tocchi dorati, e le forme dell’arte secessionista.

Gli artisti italiani rielaborano l’influsso klimtiano in modo autonomo e originale, intrecciandolo alle caratteristiche della cultura locale e ad altri riferimenti, così da contribuire a quel cortocircuito di reciproche influenze iniziato con i viaggi in Italia di Gustav Klimt. A Venezia e Ravenna, infatti, l’artista scopre i mosaici bizantini che ispirano l’evoluzione del suo stile pittorico nei primi anni del secolo.

Klimt. Opere italiane

Tra le mete preferite da Klimt nei suoi frequenti viaggi in Italia vi sono Venezia e Ravenna, dove l’artista austriaco è affascinato da mosaici bizantini “di inaudito splendore”. L’amico Maximilian Lenz, che lo accompagna nel 1903, ricorda: “Per Klimt è il momento decisivo: i mosaici rutilanti d’oro delle chiese ravennati suscitano in lui un’impressione incredibile. Da allora in poi, il fasto e una certa rigida opulenza entrano nella sua arte”.

Nascono, così, i quadri del “periodo aureo”, che il critico Ludwig Hevesi definisce con una parola di sua invenzione: Malmosaik, pitto-mosaico. Questo nuovo “stile musivo” è esemplificato dalle due tele qui esposte, dove l’uso della foglia d’oro o di platino esalta la ricca decorazione degli sfondi, che tendono alla bidimensionalità e risplendono di particelle e piccoli motivi ornamentali simili a murrine o pietre preziose.

Le figure umane appaiono ritagliate e incastonate all’interno di queste superfici fittamente decorate, conservando il senso del volume nei volti e nei corpi nudi, mentre i vestiti, come si può vedere nella Giuditta II, diventano a loro volta mosaici colorati. Questa immagine di scandalosa bellezza, incarnazione di seduzione e morte come altre celebri femmes fatales dell’arte simbolista, viene acquistata dal Comune di Venezia per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Nel 1911, a seguito dell’Esposizione Internazionale di Roma che ospitava una sala personale del maestro austriaco, il Ministero dell’Istruzione acquisisce Le tre età della donna: una rappresentazione, allo stesso tempo impietosa e profondamente poetica, del ciclo della vita.

Gli anni del Simbolismo in Italia

In Italia, fino al 1910, le occasioni di vedere la pittura di Klimt sono rare e passano quasi inosservate. Con le ventidue opere esposte nella sua sala personale alla IX Biennale, invece, questo “aristocratico innovatore dello stile” – come lo definirà Boccioni qualche anno dopo – provoca una fortissima e duratura impressione. La critica più conservatrice lo giudica decadente e incomprensibile, mentre gli artisti e gli intellettuali più aperti al nuovo riconoscono in lui un geniale precursore delle avanguardie.

L’influsso klimtiano trova un terreno reso fertile dalle suggestioni simboliste che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, attraversano il panorama artistico italiano. Tra i pittori divisionisti, ad esempio, c’è chi si rivolge a temi ideali e al mondo dello spirito prediligendo toni sognanti, come Galileo Chini che, con Plinio Nomellini e Gaetano Previati, cura la decorazione della “Sala dell’Arte del Sogno” alla Biennale di Venezia del 1907. In questa occasione, l’artista presenta anche delle opere sul tema del mito di Icaro.

Riferimenti all’arte simbolista europea si riconoscono anche nei bassorilievi di Leonardo Bistolfi e nella figura allungata e flessuosa della Fanciulla tra i gigli di Domenico Baccarini, esempio di quel gusto Liberty o floreale assai diffuso in quest’epoca.

Vittorio Zecchin e l’antica tradizione veneziana

Venezia – luogo che lo aveva prima ispirato e poi accolto – è la città in cui la lezione di Klimt trova il terreno più fertile. Qui il suo linguaggio viene reinterpretato in un fondersi di antiche suggestioni e ricerca di una nascente modernità da Vittorio Zecchin, artista e artigiano di origini muranesi, figlio di un maestro vetraio. Il suo lavoro spazia dalla pittura alla creazione di mobili, arazzi, mosaici, pizzi e vetri, con una vocazione all’opera d’arte totale particolarmente vicina al gusto delle Secessioni.

Affascinato dal misticismo esotico di Jan Toorop, simbolista belga che espone alla Biennale del 1905, e dal decorativismo di Klimt, Zecchin rappresenta un immaginario onirico, fiabesco e orientaleggiante che trasforma la città lagunare in un luogo di sogni e incanti.

Nel 1914 realizza un grandioso ciclo pittorico per l’Hotel Terminus di Venezia che ha per tema uno dei racconti delle Mille e una notte, dove rappresenta il fastoso corteo nuziale della principessa promessa sposa di Aladino. La processione di ancelle e guerrieri si sviluppava, originariamente, in dodici pannelli per una lunghezza di ben ventidue metri, scandita da figure elegantemente allungate, vestite con tessuti decorati da motivi a rosoni con dorature in rilievo. L’artista veneziano interpreta questo mondo fiabesco con un linguaggio che accentua la bidimensionalità e il carattere ornamentale dello stile secessionista e, al contempo, trova le sue radici nelle vetrate antiche e nei mosaici bizantini.

Galileo Chini e la grande decorazione

Come Zecchin, Chini è un artista eclettico – pittore, ceramista, decoratore – impegnato ad annullare i confini tra le arti, in sintonia con lo spirito delle Secessioni. Nel 1896 fonda, in Toscana, la manifattura “Arte della ceramica” e, nel 1906, le “Fornaci di San Lorenzo”, dalle quali escono oggetti che intrecciano le suggestioni preraffaellite e Liberty con i riferimenti all’antico e, in seguito, interpretano magistralmente il nuovo gusto Art Déco.

L’artista è presente alle Biennali veneziane fin dai primi anni del secolo, anche in veste di decoratore di alcune sale. Nel 1914, dopo aver trascorso due anni a Bangkok su invito del re del Siam, che lo aveva chiamato a decorare il Palazzo del Trono, Chini dipinge un ciclo formato da diciotto grandi tele sul tema della primavera che perennemente si rinnova. Un soggetto che nell’arte della Secessione viennese ha un ruolo centrale, come testimonia la pubblicazione della rivista Ver Sacrum, dove la “primavera sacra” è simbolo della rinascita delle arti.

In questi dipinti di abbagliante suggestione visiva, l’influsso di Klimt è particolarmente evidente nella profusione di motivi ornamentali che alternano forme circolari e triangolari, all’interno di cascate di fiori simili a murrine veneziane, nonché nella composizione verticale delle figure. Esse scorrono con un moto ascensionale accanto al fluire delle decorazioni, la cui straordinaria ricchezza si spiega, anche, con le impressioni ricavate dal soggiorno in Oriente dell’artista.

Ai confini dell’Impero

Nei territori che, fino al 1918, hanno fatto parte dell’Impero austroungarico il rapporto con le Secessioni è, naturalmente, più stretto. Ai confini dell’impero gli artisti assorbono una cultura che oscilla tra germanesimo e latinità e possono scegliere se studiare nelle Accademie di Milano e Venezia oppure rivolgersi a quelle di Monaco e Vienna.

A Trieste, i cugini Piero e Guido Marussig optano per l’ambiente veneziano, mentre Viktor von Thümmel, che in seguito italianizza il suo nome in Vito Timmel, si forma a Vienna. La sua pittura rivela l’intensa fascinazione delle sensuali figure femminili klimtiane, come si può vedere nella tela intitolata Gli infelici (Gli eroi), caratterizzata da figure incastonate tra geometrie dorate, arabeschi floreali e tessuti preziosi, e in Fochi, un dipinto animato da un vortice di fuochi d’artificio dal sapore quasi futurista.

L’artista trentino Luigi Bonazza frequenta la Kunstgewerbeschule di Vienna tra il 1898 e il 1901, sotto la guida di Franz von Matsch, socio dei fratelli Klimt in numerose imprese decorative. Sono gli anni in cui si impone il nuovo linguaggio Jugendstil e il gusto della Secessione, e la pittura di Bonazza ne assorbe gli stimoli affrontando soggetti legati al sogno, al mito e all’allegoria. La leggenda di Orfeo, realizzata a Vienna nel 1905 è, infatti, un’opera compiutamente secessionista, nella raffigurazione sospesa tra amore e morte, tra spirito apollineo e dionisiaco, nella struttura tripartita e nella preziosa cornice decorata in ottone e avorio con i simboli della Poesia e della Musica. La tendenza all’arte totale, principio fondante della Wiener Werkstätte, troverà piena espressione nella decorazione della casa di Bonazza a Trento, dove il tema di Orfeo, caro a molti artisti di inizio secolo, ritorna in visioni notturne influenzate dalla poesia di d’Annunzio.

Gli artisti di Ca’ Pesaro

All’inizio del Novecento, dopo essere stato donato al Comune di Venezia dalla duchessa Bevilacqua La Masa, Palazzo Pesaro diventa sede della Galleria d’Arte Moderna diretta da Nino Barbantini, che ne fa un centro di produzione ed esposizione all’avanguardia. Ca’ Pesaro ha un ruolo importante nel favorire l’incontro tra i giovani talenti italiani e il panorama artistico internazionale, divenendo un’alternativa al clima culturale più tradizionalista delle Biennali. In questa sede espongono artisti che guardano con particolare attenzione al contesto mitteleuropeo, come Teodoro Wolf Ferrari che aveva frequentato la Secessione di Monaco. Questo interesse è rafforzato dall’eco suscitata dalla presenza di Klimt alla Biennale, che in quell’occasione aveva esposto un certo numero di paesaggi dalle affascinanti tessiture cromatiche. Queste opere stimolano il rinnovamento della pittura di paesaggio di Garbari, Marussig e Wolf Ferrari: salici, betulle, specchi d’acqua – soggetti cari al maestro viennese –  sono protagonisti di vedute che tendono alla bidimensionalità, dove la lezione secessionista si fonde con influssi francesi e un gusto japoniste ampiamente diffuso nell’arte tra Ottocento e Novecento.

Felice Casorati negli anni veronesi

Espone a Ca’ Pesaro anche Felice Casorati in una delle stagioni più felici dei suoi anni di formazione, prima di approdare alle mature interpretazioni delle poetiche del ritorno all’ordine e di un Realismo magico pervaso di silenzi e incanti. Negli anni trascorsi a Verona, tra il 1911 e il 1915, l’artista piemontese interpreta in maniera originale lo stile secessionista, superando quello tardo-ottocentesco dei suoi esordi e giungendo a un linguaggio rarefatto, di intensa spiritualità, di cui La preghiera è un perfetto esempio. “Sono diventato un visionario, un sognatore e non dipingo più che le immagini che vedo nei sogni: le notti stellate, gli esseri invisibili, gli spiriti puri, le allucinazioni…” scrive l’artista nel 1913, in una lettera a un’amica.

In questi anni Casorati frequenta con assiduità gli artisti veronesi Attilio e Guido Trentini. Rinomato decoratore, formatosi a Monaco, Attilio realizza, nella dimensione ridotta di tempere su carta, vivaci e preziose composizioni. Alla decorazione di gusto klimtiano fa riferimento anche il figlio Guido, talvolta con puntuali citazioni come nella Fanciulla sommersa – concepita come testiera di letto – dove le linee ondulate rimandano ad analoghi motivi del Fregio di Beethoven, eseguito da Klimt nel 1902 nel Palazzo della Secessione di Vienna.

Adolfo Wildt. Il “Klimt della scultura”

“[…] con quelle applicazioni di stelle, di croci dorate […] si potrebbe dire che Wildt è un po’ il Klimt della scultura e i disegni, con la loro esilità e astrazione lineare, danno il punto di inserzione per giustificare questo ravvicinamento”: così scrive Antonio Maraini nel 1922, recensendo le opere di Adolfo Wildt alla Biennale di Venezia.

Animato da una spiritualità profonda e inquieta, lo scultore milanese dà vita a una ricerca di grande originalità, dove convivono un’antica sapienza nella lavorazione del marmo, l’amore per i maestri dell’arte gotica, barocca e neoclassica e una tendenza espressionista e decorativa di chiara ispirazione secessionista. Grazie al contratto esclusivo che, per diciotto anni, lo lega al mecenate prussiano Franz Rose, l’artista frequenta assiduamente la Germania, assorbendo suggestioni del mondo nordico.

L’influsso di Klimt è particolarmente evidente nella produzione grafica, caratterizzata da figure di eterea bellezza ambientate in spazi rarefatti, attraversati da motivi decorativi di stelle, croci e volute. Motivi che ritroviamo anche in alcune sculture dove, tuttavia, l’oro assume un significato diverso rispetto all’arte del maestro viennese. Se in Klimt la preziosità di questo materiale è una sorta di “inno alla gioia”, alla felicità dell’arte e al trionfo della sensualità, in Wildt, invece, è simbolo di santità, proprio come nella tradizione più antica dell’arte cristiana.

Echi klimtiani verso l’Art Déco

L’influenza della Secessione viennese si avverte anche in altri ambiti regionali. In Emilia, dove predomina ancora uno stile decorativo ispirato all’arte ottocentesca di stampo preraffaelita, si distingue il lavoro di Amedeo Bocchi per la Cassa di Risparmio di Pama. Qui l’artista rielabora le suggestioni ricavate dalla visione delle opere di Klimt per decorare la Sala consiliare, interpretando i temi suggeriti dalla committenza: il Risparmio, la Protezione e la Ricchezza. Tra il 1915 e il 1917, Bocchi realizza uno dei suoi capolavori in un stile raffinatissimo, sospeso tra Liberty e Art Déco, frutto di una concezione unitaria dell’ambiente dove pittura e arredi si integrano perfettamente.

Verso gli anni Venti, infatti, il linguaggio klimtiano sfocia nel gusto Art Déco, che esalta il culto per la decorazione e la geometrizzazione tipico della Secessione.

Al clima Art Déco appartengono, ormai pienamente, gli arazzi disegnati da un altro artista emiliano, Francesco Dal Pozzo e le ceramiche del faentino Francesco Nonni.

In alcuni ritratti di quest’epoca, infine, si riconoscono echi dei celebri soggetti femminili di Klimt, come nel dipinto di Arturo Noci, dove la sorella dodicenne di Roberto Rossellini posa in modo simile a Mada Primavesi, ritratta dal maestro viennese nel 1913.

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